sabato 2 febbraio 2008

Fine della Seconda Repubblica??? Macchè


“Io duro perché faccio, non faccio perché duro”. Queste parole, pronunciate qualche mese fa dall’oramai ex premier Romano Prodi, suonavano quasi come una difesa, una protezione nei confronti di chi, più volte, lo aveva attaccato, auspicando la caduta del suo governo. A distanza di mesi questa frase assume un sapore diverso, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi politici. Ma torniamo a due anni fa.
Una maggioranza risicata, incerta, quasi sbandata: è questo lo scenario che appariva piuttosto chiaro all’indomani delle elezioni, tenutesi nell’aprile 2006, in cui la coalizione del centrosinistra usciva vittoriosa. Sì, per un soffio. Tuttavia l’obiettivo era stato raggiunto: Silvio Berlusconi tornava a casa, sconfitto tra gli sconfitti. Ma i numeri per governare, almeno al Senato, quelli forse non ci sono mai stati. Da qui le polemiche sui voti dei senatori a vita, vitali per la sopravvivenza del governo, la tanto dibattuta Finanziaria, che ha svelato appieno i contrasti interni dell’Unione, così come gli scontri relativi ai Dico, le unioni fra conviventi, che hanno fatto scendere in piazza vari esponenti del mondo politico. In fondo far coesistere differenti ideologie politiche e mediare con la sinistra estrema (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi) non era cosa semplice. Lui, Prodi, era l’unico che ce la poteva fare. Eppure i fatti, alla fine, non gli hanno dato ragione. L’epilogo, alquanto scontato, è arrivato dopo venti mesi, il 24 gennaio 2008, data in cui il governo è stato sfiduciato, raccogliendo 161 voti contro. Causa principale l’uscita dalla coalizione dell’ex ministro Clemente Mastella e del suo partito, l’Udeur, coinvolto quasi per intero in un’inchiesta giudiziaria che ha portato per prima Sandra Lonardo, moglie del ministro, agli arresti domiciliari. Malgrado il sì del senatore Udeur Nuccio Cusumano, aggredito verbalmente e fisicamente dal suo ex partito, Prodi non ce l’ha fatta. E chi scommetteva che anche stavolta ci sarebbe riuscito, ha puntato male. Le cause della disfatta? Molteplici e articolate. In primo luogo i dissidi interni, il tentativo di aver voluto assemblare pensieri e concezioni differenti non tanto per il bene del Paese, quanto per cacciare il premier della legislatura precedente. Poi, da non sottovalutare, la nascita del PD: una nuova formazione politica, un’alleanza fra le principali forze del centro sinistra, guidata da Walter Veltroni, il cui principale scopo doveva essere rinsaldare le speranze e le attese degli elettori ma che ha alimentato, invece, dubbi e rivalità. La pronta risposta di Silvio Berlusconi non è mancata, e si è manifestata nella creazione del Partito delle Libertà, formazione politica di centro destra, che ha scatenato roventi polemiche fra i suoi alleati (Fini e Casini) che in un primo momento hanno negato la loro disponibilità a confluire nella nuova formazione. E poi non si può non parlare del dibattito sulla legge elettorale. Sistema spagnolo, tedesco, bozza Vassallo, bozza Bianco: mesi e mesi di discussioni, che non hanno portato a nessun risultato, ma hanno messo in luce un’unica certezza. Che l’attuale sistema, quello Calderoli, non funziona più. Da qui la necessità di riformarlo.
Un’instabilità perenne, dunque, quella in cui ha vissuto il governo Prodi-bis. E da questa instabilità ora si è passati ad un clima di incertezza, di smarrimento, di crisi politica. I riflettori, negli ultimi giorni, erano puntati verso Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, a cui è stato affidato un compito ingrato: mediare fra le varie forze politiche in vista di una soluzione. Per la quasi totalità del centro destra il coro è unanime: elezioni subito. Per il PD e Rifondazione Comunista, invece, non si può prescindere da una riforma elettorale, in vista di elezioni future (8-10 mesi). Ieri la decisione: un incarico affidato al presidente del Senato, Franco Marini, ed ennesime consultazioni. Alcuni commentatori auspicano la risoluzione dei problemi prioritari del Paese, dando vita ad una nuova legge elettorale, capace di garantire una maggioranza stabile. Altri, invece, propendono verso le elezioni, i cui risultati sembrano chiari già da ora. A prescindere da quello che accadrà nelle prossime settimane, l’opinione diffusa è una sola: è vera crisi.
E risolverla sarà una sfida impegnativa.