domenica 4 novembre 2007

Riflessioni sulla globalizzazione..

Modernità in transizione, urge una chiarificazione teorica

Globalizzazione: apologia o critica?

Tra occidentalizzazione e global village, aspetti del fenomeno che caratterizza gli inizi del terzo millennio

Alcuni sostengono sia il nuovo paradigma del mondo contemporaneo. Altri, invece, ne contestano aspramente i lati negativi. La pura e semplice verità è che la globalizzazione è sempre più un termine controverso, al centro di numerosi dibattiti sociologici, economici e giornalistici. Darne una definizione non è cosa ovvia. Si tende ad evidenziarne l’aspetto relativo alla modernizzazione tralasciandone il corrispettivo in ambito culturale. La globalizzazione può dunque essere definita in quel processo di intensificazione e di crescita graduale delle relazioni sociali a livello mondiale, che ha preso il via alla fine del XX secolo, anche se trova delle radici più profonde nel colonialismo e post colonialismo. Per riprendere il sociologo inglese Anthony Giddens, modernizzazione e globalizzazione coincidono: in tale senso quest’ultima si configura come espansione della modernità dall’ambito europeo-occidentale al mondo intero, diffondendo le idee di Stato nazionale, economia capitalistica, divisione del lavoro e militarismo. Tuttavia, è bene analizzare entrambe le facce della medaglia, per capire se la globalizzazione in sé sia veramente la panacea di tutti i mali, o un’ennesima risoluzione superficiale alle cosiddette “sfide globali”. Per capire l’importanza della questione, basti pensare che anche le Nazioni Unite hanno ritenuto opportuno affrontare questo tema già nel 1999, dedicandogli lo “Human Developement Report”, tradotto in italiano nel “Rapporto sullo sviluppo umano”. Tra i risultati più concreti si può certamente dare risalto al fatto che grazie alla globalizzazione sia stato possibile raggiungere un elevato benessere economico, oltre che fenomeni come la secolarizzazione, la diffusione del liberalismo e dell’economia di mercato, la rivoluzione tecnologico-informatica, l’abbattimento delle barriere artificiali della circolazione dei beni, uno sviluppo umano globale insomma, tradotto in termini di speranza media di vita, di livelli di educazione primaria, godimento dei diritti fondamentali e libertà politiche. Tuttavia le critiche che prendono piede, a partire da questi effetti benefici, è che questo sviluppo si sia allargato in modo asimmetrico, accentuando la polarizzazione di distribuzione della ricchezza, la turbolenza dei mercati finanziari, l’utilizzo insensato delle risorse e l’occidentalizzazione del mondo. Aumentano in sincronia con lo sviluppo le spese militari, le vittime civili dei conflitti armati e le morti per denutrizione. È proprio per le allarmanti crescite di questi numeri che nonostante l’integrazione mondiale sia vista in termini di progresso, siano nati dei movimenti “no global” che attraverso grandi manifestazioni di massa mettono in luce il dissesto ecologico di dimensioni planetarie connesso al consumo occidentale, a discapito dei Paesi del Terzo Mondo. Dunque ciò che emerge da un’analisi approfondita è che non è la globalizzazione in sé ad essere nociva, ma i modi in cui essa viene applicata dai paesi controllori dell’economia mondiale. Respingere la globalizzazione non sarebbe comunque auspicabile: modificarne i metodi si.

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